martedì 20 maggio 2008

Quel pigiama

Alla fine ci è riuscita. Ha deciso di abbandonare le faccende domestiche e concedersi un pomeriggio per lei.
Sa benissimo che, nonostante la sua pioggia e lo shopping, quello che sta facendo non è altro che una violenza contro sé stessa.
Certo, è proprio lei che passeggia per le vie del centro, sotto il suo ombrello viola.
Si, è lei che scruta le vetrine dei negozi, tenendo l'unghia del pollice tra i denti con un fare un po' altezzoso.
Un acuto osservatore avrebbe potuto captare che tutto in lei è sinonimo di inquietudine: i suoi passi frettolosi, lo sguardo puntato verso l'orizzonte, mai basso ma sempre assente e non di certo per superiorità, l'accavallare ripetutamente le gambe mentre siede in metro e lo sbattere le palpebre sgranando gli occhi.
È entrata nel negozio, ci è riuscita. Si, alla fine ci è riuscita.
Sono mesi che si è riproposta di farlo, da quando la sua amica le ha suggerito che era l'ultimo tentativo.
Si vergogna un po'. Il suo viso pulito, ancora acerbo, con quel colorito roseo e quell'espressione ingenua da bambina, sono del tutto fuori luogo in quel contesto.
È entrata, ha posato l'ombrello sul pavimento facendolo scivolare dolcemente sul foglio del City adibito a portaombrelli.
Il commesso la fissa incuriosito.
Lei avverte il suo sguardo ma decide di continuare ad indossare la maschera.
Sbottona il suo spolverino facendo intravedere quella maglia scollata che le risalta il suo seno, piccolo ma sodo.
L'ha fatto per voler mostrare che, nonostante il suo aspetto da adolescente, possiede anche lei ciò che tutte quelle che invidia hanno: una sensualità e la capacità di stuzzicare l'uomo. Arrivata davanti allo scaffale ha subito pensato: "Devo vederli tutti attentamente e scegliere il migliore, a costo di star qui fino alle 18".
Ce ne sono almeno una trentina.
Nero classico, rosso da tentatrice, bianco da finta sprovveduta, con pizzo, con lacci, con strass e perline.
Ci sono cose che non ha mai osato immaginare: tutine in rete che usano chiamare catsuit, mutande con aperture per facilitare l'accesso, reggiseni senza coppa, corsetti.
Non sa se osare, non sa cosa pensare. Le sembra tutto volgare.
Le vengono in mente le immagini di quei siti che ha scoperto sul suo computer, quegli annunci. Le viene in mente quella mail che ha dovuto perdonare.
Inizia a chiedersi perché la donna debba diventare un oggetto travestendosi. Inizia a dirsi che lei deve essere apprezzata per ciò che è, perché la semplicità è eleganza.
Sta per voltarsi ed arrendersi. Improvvisamente le viene in mente un'altra delle solite sere che trascorre da un anno.
Lui arriva dal lavoro, le dice soltanto ciao, si spoglia e accende il pc.
Lei, tentando di essere indifferente, continua a spostare penne, cornici, vasi, tutto ciò che trova nella stanza.
Lei prepara la cena, lui si alterna tra ebay e televisione.
Lei sparecchia, lava i piatti e va subito a letto.
Con quel suo pigiama lungo, nero, felpato, quello che lui odia, quello che la fa sembrare suo fratello, come dice lui.
Bene. Adesso però ha deciso di premere il tasto rewind.
Continua a vivisezionare quei completi ed immaginare un altro finale per quella serata.
Ha deciso che ci proverà, però gradualmente.
Lei è così. Esclude i lacci in pelle, il pizzo ricamato, il lattice rosso, le catsuit ed opta per un completo nero, un po' striminzito, come lo descriverebbe sua madre, ma capace di ottenere il risultato desiderato.
Paga, evitando di incrociare gli occhi del commesso, riprende l'ombrello e prosegue per le vie che la conducono a casa.
La pioggia la spaventa, sa che sotto di essa si abbandona sempre ai suoi pensieri.
La fa riflettere. Ma non può riflettere ora.
Deve evitare di svegliarsi e capire che il problema è luiDeve restare anestetizzata, deve credere di non essere femminile. Deve solo pensare che quella che non va è lei, ma che ora sarà tutto più facile avendo scoperto questo nuovo territorio.
È arrivata a casa. Apre la porta, poggia l'impermeabile sulla poltrona e come una bambina quando riceve la sua Barbie, corre davanti allo specchio e lo prova.
Si guarda, sposta un po' il perizoma verso il basso, sistema il babydoll per non evidenziare quei difetti e lo toglie.
Velocemente, vergognandosi.
Alla fine ci è riuscita, ha deciso che questa sera sarà come le altre sere, che preparerà la cena, laverà i piatti e leggerà qualche pagina di Gita al Faro a letto.
Ha deciso che si deve sentire bella anche con una semplice canotta, che però la canotta non la fa sentire così solo perché lui adesso pensa esclusivamente che deve organizzare quel caffè con l'altra.
Non può badare a sua moglie. Non ha tempo per lei perché non ha voglia di lei.
Io tutto questo lo so perché mentre lei era davanti allo specchio ero là.
E la scrutavo.
Ero là ma non riuscivo a farle sapere che è bella.





venerdì 16 maggio 2008

Essere te

Non si è mai vergognata di piangere.
Ha sempre mostrato con disinvoltura e forse con anche un po' di orgoglio e vanto le sue lacrime.
È stata capace di piangere per Zanna Bianca, per Pinocchio, per una fiction.
È stata capace di piangere per i torti subiti, per la rabbia contro colui che le urla che è una psicolabile.
È stata capace di piangere per la gioia di avere un marito così accanto, un marito che le da coraggio.
Ha pianto anche vedendo sua figlia in quel letto d'ospedale sola e senza amici.
Ha pianto vedendola partire per la Turchia, per l'India e per tutti quei posti che le venire l'ansia perché così distanti sul mappamondo.
Ha pianto quando sua figlia le ha detto che voleva andare via di casa perché non stava più bene.
Ed ha pianto soprattutto perché non si è accorta che quella motivazione non era un semplice turbamento adolescenziale.
Non pensa che piangere sia una debolezza e non pensa neanche che la debolezza sia una difetto, perché lei sa quando e con chi essere debole.
Non ha avuto una vita felice, ma non ne ha neanche avuto una difficile.
Si è sempre considerata una di quelle che "avrebbe potuto essere, ma non è stata". Si,si definiva così, utilizzando quella frase del professore di italiano di sua figlia, scritta su un post-it nella sua camera.
Èmolto intelligente, è curiosa, è perspicace e volenterosa.
Non è pigra e non è arrogante. Ha un tono di voce delicato, lieve e gentile.
Sarebbe stata perfetta per insegnare, per amministrare, per consigliare ed aiutare. Sarebbe stata perfetta come lo era quando era una studentessa, quando era la prima della classe ad inglese e letteratura italiana. Quando era talmente brava che la sua maestra supplicò la madre di mandarla in Inghilterra per poter approfondire ed imparare meglio la pronuncia.
Ecco, forse ciò che ha messo in ombra la sua perfezione è proprio questo: sua madre.
Lei ha sempre desiderato non diventare così: aggressiva, indisponente, conservatrice.
Ha deciso di vivere attraverso gli occhi dei suoi figli.
Ha deciso che poteva voler andare a Varanasi semplicemente consultando Google e ammirando estasiata i colori delle donne immortalati nelle foto scattate dalla figlia.
Ha deciso che poteva esultare di gioia sapendo che proprio sua figlia ha passato l'ultimo esame di linguistica inglese dell'università, come se quell'esame l'avesse potuto sostenere lei.
Ha deciso di sentirsi appagata anche lavorando in ospedale, nonostante le corsie non siano proprio le lavagne davanti alle quali sperava di parlare.
Quel giorno, però, non ha resistito. Certo, non è un male piangere, ma non vuole far credere che non sia così soddisfatta come sembra.
Ogni giorno, dopo pranzo, usa poggiare i gomiti sul tavolo, chiudere gli occhi e addormentarsi, lasciando la televisione accesa su quella trasmissione inutile.
Quel giorno, però, proprio quella trasmissione l'ha fatta piangere.
È venerdì, mancano due giorni alla festa della mamma e tutti in tv sono felici e si abbracciano raccontando vicissitudini familiari.
Vede quella donna con sua figlia accanto. Lei dice davanti a tutti che la ama infinitamente.
Bene, quel giorno lei ha pianto senza che potesse far credere che ci fosse un vero motivo.
Quel giorno ha sperato che la figlia domenica non partisse e che le scrivesse un bigliettino di auguri con delle parole così forti.
Quel giorno, però, si è subito alzata dalla sedia, si è asciugata le lacrime, ha voltato lo sguardo, dicendo tra sé: "Va bene così, so che me ne vuole, da là".
Io tutto questo lo so, perché quel giorno ero proprio seduta accanto a loro.
Tra mamma e figlia, e le scrutavo.

Ha bisogno di Virginia

Avrebbe potuto farlo. Avrebbe potuto trovare anche una scusa, una delle sue.
Inventare che si sentiva in colpa perché non è vicina alla sua famiglia, inventare che non ha soldi a sufficienza da poter non badare a ciò che spende.
Oppure dire di iniziare a sentirsi in quel limbo in cui vivono tutti i neolaureati.
No.
Questa volta è rimasta in silenzio. Questa volta non ha neanche pianto. Questa volta non sa neanche spiegarsi il perché.
Le basta soltanto poter pensare di sentirsi vicina a lei e tentare di immaginare come potesse reagire lei in questo momento. Questa volta le rimbombano nella testa le parole di quel ragazzo: "Tu sei una eterna insoddisfatta".
Lo pensava e l'ha sempre pensato.
Però poi è accaduto qualcosa che ha cambiato tutto. Ha cambiato lei.
Lo dice sempre:"Londra ha cambiato Elizabeth di Virginia e Milano ha cambiato me".
In queste giornate di pioggia, in queste giornate di una timida ed indecisa primavera, lei si sente in sintonia con quello che c'è fuori. Si sente in sintonia con l'odore di erba bagnata, con le pozzanghere d'acqua per le strade, con il ticchettio delle gocce sul davanzale.
Sa che anche leiVirginia, avrebbe pensato lo stesso. Avrebbe forse tenuto ancora quella candela accesa, avrebbe intinto nuovamente la penna nel calamaio, avrebbe chiesto alla domestica di attendere ancora un po' per la cena e si sarebbe rinchiusa ancora nella sua stanza per poter far vivere un'ora in più a Clarissa Dalloway.
Questa volta non è delusa, non è insoddisfatta. Questa volta non ha paura di sentirsi sola, rifiutata o indecisa.
Questa volta lei è solo pensierosa, ma si sente al sicuro perchè sa che questo broncio ingiustificato non è una sua esclusiva. Anche Virginia avrebbe reagito così.
Io questo lo so perché, mentre lei guardava fuori dalla sua finestra, io ero lì.
E la scrutavo.

martedì 6 maggio 2008

Lui aveva un sogno

Quel giorno a pranzo hanno osato chiedergli perchè non comprasse ancora una muta da sub.
Ha cinquant'anni, un viso roseo e paffuto da bambino ed uno sguardo ingenuo.
È il suo sguardo che ti paralizza. È disarmante. Lo osservi e temi che quella bontà possa stravolgere tutto.
Ma lui non lo farebbe. Non sfrutterebbe mai la sua bontà.
Quel giorno a pranzo hanno osato minacciare il suo equilibrio. Hanno tentato di farlo svegliare dal suo lungo ed anestetico sonno, di fargli prendere coscienza della sua vita da impiegato.
Ha cinquant'anni, un viso roseo e paffuto da bambino ed ha una piccola grande famiglia.
È questo il problema: la sua piccola grande famiglia.
Forse non ha avuto molti amori durante la gioventù, forse non ha mai osato tradire la donna che ha amato sin da quando aveva diciott'anni, forse ha soltanto fantasticato sulla sua collega con quel seno così florido da indurre in tentazione chiunque le si avvicinasse.
Adesso, dopo tanti anni di matrimonio, due figli più che adolescenti che lui continua a chiamare puntualmente "bambini", la sua cagnetta ed il gatto che la figlia porta sempre con sé quando torna a trovarlo, non ha nient'altro.
Quel giorno, come ogni mattina, si era accucciato sul suo scoglio in spiaggia: la spiaggia del paese in cui vive da sempre, la spiaggia in cui ha imparato a nuotare e a tuffarsi, dove passava le estati con una bottiglietta d'acqua e il panino col tonno e pomodoro preparato con un metodo infallibile testato dalla madre per non farlo strabordare.
Quel giorno, come ogni mattina, aveva contemplato il mare, si era fatto avvolgere dall'alito della brezza marina, aveva desiderato di possedere una piccola barca per andare al largo, per poter osservare la vita da quel nuovo punto di vista.
Aveva desiderato di possedere quel mare. quella libertà.
Quel giorno, a pranzo, quell'ipotetico genero che tutti detesterebbero ma che invece lui venera, ha osato chiedergli perché non si fosse comprato ancora una muta.Una muta per lui che ama così tanto il mare.
Per lui che ama nei giorni afosi andare in riva al mare e raccogliere le conchiglie, come se fosse ancora bambino.
Una muta per lui che, per rendere felice la sua piccola grande famiglia, resta ore ed ore sotto quell'acqua per cercare i ricci.
Per lui che ama così tanto il mare che ha appeso una fotografia di quei ricci nel suo angusto ufficio, dove vende sogni e speranze.
Proprio lui che aveva un sogno: essere libero. Proprio lui che si è fatto succhiare la linfa ed il sogno dalla sua piccola grande famiglia. Proprio lui che adesso, a cinquant'anni, non può forse più desiderare altro.

lunedì 5 maggio 2008

Teoria Del Caos

E dopo aver sentito quel calore, voltai lo sguardo e dissi: "E' diverso."